Gli artisti di Astractura

Giunge il momento di incontrare – di persona – gli artisti di Astractura, andando a scoprire, in tal modo, attraverso un’indagine sull’operato delle rispettive ricerche, il significato dei rispettivi dettati creativi, che si definiscono, evidentemente, come una proposta d’intervento e non come una prestazione di carattere apodittico.

 

Osserveremo, innanzitutto, che all’interno di Astractura convivono, senza confligere, più anime, quelle, in particolare, che costituiscono l’ampio ventaglio delle varie famiglie dell’Astrattismo novecentesco e non meno di alcuni aspetti particolari di una cultura artistica vocazionalmente aniconica.

Sulla scorta di tale considerazione, pertanto, può già essere suggerita una prima affermazione: che Astractura, cioè, merita di essere considerato il luogo di definizione e di sintesi di tutte le prammatiche astrattiste, il luogo in cui, cioè, una concezione accogliente e comprensiva, certamente di ampia prospettiva di proposta operativa, riesce a raccogliere in unità significazionale ciò che, nel corso del ‘900, è stato considerato come un variegato mosaico di tessere spesso, però, incomunicanti tra loro e, quindi, incapaci di formare un insieme di congrua consistenza significazionale, dai tempi di Malevic, del Raggismo, di De Stijl, del Costruttivismo, di Bauhaus, del Concretismo, di Abstraction-Création, dello Spazialismo, di Madi ecc. In proposito, può essere indicato come di rilievo l’appuntamento espositivo di cui si rese promotrice Astractura nel 2014, presentando nel Salone Medievale del Complesso Conventuale di Sant’Antonio a Nocera Inferiore una rassegna astrattista  che ebbe il titolo esplicito e significativo di ‘Astrattismo Ecumenico’.

Si delinea, così, un universo in cui occorre, però, non aver conto, evidentemente, né della deriva lirica kandinskijana, né dello scivolamento illusionistico delle prospettive di varia scansione ‘optical’, cose, in particolare, queste ultime due, che giudichiamo sostanzialmente estranee all’universo astratto-geometrico.

Pur giudicando sia il ‘lirismo’ kandinskijano che l’’illusionismo’ ‘optical’ delle pregevoli profilature di ricerca creativa, vorremmo però negarne l’appartenenza al mondo dell’astrazione geometrica, al cui interno non v’è ragione di ammettere le proiezioni della fantasia o dell’inganno sensoriale mentre – se si vuol concepire un ampliamento dilatativo della più asciutta essenzialità delle profilature geometriche – trovano maggior ragione di comprensione le opportunità produttive che si offrono nella sintesi ‘astratto-geometrica’ in cui si profilano scansioni materiche che vanno alla ricerca di un equilibrio tra gestualità ‘dispositiva’ e gestualità ‘espressiva’.

 

Non sarà inopportuno, pertanto, invocare, in particolare, il precedente della grande lezione di van Doesburg, né quello preziosissimo di Torres Garcia. Osserveremo che nei loro orientamenti oggettivamente predittivi non soltanto troveremo il germe concretista (van Doesburg) – che afferma la capacità produttiva astrattista come quella che può dare corpo ‘concreto’ ad un’idea della mente producendola fattualmente in un ‘oggetto’ suscettibile di nominazione – ma troveremo anche l’indicazione preziosa e dirimente di una necessità di procedere  ad un tentativo di conciliazione tra linea curva e linea retta (Torres Garcia) nella prospettiva di stabilire, nei confronti dell’irrazionale (quello che qui si esprime nella forma di ‘pi greco’ o della ‘sezione aurea’, ma che nella vita è ben configurabile come l’imponderabile della storia) un atteggiamento, piuttosto che di inabile soggiacenza, di protagonismo attivo.

 

Lungo tale gradiente contenutistico agiscono gli artisti di Astractura – con minore o più avvertita coscienza, poco importa – nel dare corpo ad una produzione creativa che si articola secondo forme e formule definite dalle rispettive sensibilità creative o, meglio vorremmo dire, ‘propositive’, additando con l’utilizzo del concetto di ‘proposta’, qualcosa di più profondamente distintivo di quanto non potesse esserlo la preferenza che – nel clima e poi negli esiti della celebre rivista ‘Arturo’ – si volle indicare come la dirimente (anche valoriale) tra il ‘creare’ e l’ ‘inventare’.

Nel termine che Astractura adotta di ‘proposta’, piuttosto che di ‘invenzione’ (quest’ultimo gli astrattisti sudamericani lo contrapponevano a ‘creazione’) c’è – lo confessiamo – anche un sottile debito alla concezione del ‘formare’, che fu propria del gruppo artistico del MAC napoletano, che volle addensare in questo termine tutta la forza dell’impegno ‘di lavoro’ che necessariamente implicava l’impresa di trasformare in oggetto un pensiero operando, in tal modo un salto organico dalla ‘oggettività’ concettuale alla ‘oggettualità’ cosale.

 

Sullo sfondo di tutto ciò – dicendo qui, evidentemente, degli ancoraggi e delle risorse intellettuali e morali di cui Astractura si giova – non può essere taciuto anche un debito alla prospettiva duchampiana, riconoscendo che la profilatura ‘concettuale’ del suo abbrivio speculativo – ben formulato con ricchezza di argomentazione nell’additamento di ciò che egli definisce il ‘coefficiente artistico’ – è motivo basilare e fondante del pilastro Cinestetico che costituisce, insieme con Linearismo e Cronotopia, la profilatura identitaria del pensiero astracturista.

 

Tra le prime personalità di artisti che provvedono ad animare di una presenza fisica e produttiva le asciutte note intellettuali della teoresi astracturista vanno annoverate le figure di Francesco Gallo, di Carlo Palermo, di Romualdo Schiano, di Domenico Fatigati, di Michele Marzo, di Lauro Lessio.

I primi quattro sono tutti campani; Marzo è, invece, calabrese e Lessio piemontese.

 

Gallo viene da un’esperienza pregressa di pratica creativa geometrica, cromaticamente molto variegata e costruttivamente molto articolata secondo un addensamento linearistico che si proietta con intelligenza verso un tentativo di divaricazione e di scelta di allontanamento deciso e maturo dalle prospettive di carattere lirico, ad esempio, che hanno caratterizzato la creatività  kandinskijana, che – ci permettiamo di ribadire anche qui una valutazione critico-storiografica già oggetto di nostro approfondilmento storico-critico – a rigore, non dovrebbe essere propriamente definita ‘astrattista’, costituendosi, piuttosto, la sua articolazione in derivato – certamente prezioso – di null’altro che degli esiti della temperie simbolista

Ciò che nella prospettiva creativa di Francesco Gallo appariva decisamente promettente nel suo pregresso (ne osserviamo un’esemplificazione convincente in una sua opera, Senza titolo, del 2004) è l’abbrivio di una ricerca che pur proponendo un afflato di acuta sensibilità (come rivela la fioritura linearistico-cromatica dell’assetto dell’opera) non rinunciava – anzi affermava con decisione e con forza – l’ancoraggio alla strutturazione geometrica e l’appello inequivocabile alla preminenza di una profilatura razionale, entro la quale perimetrare non solo l’ordito formale ma, più ancora, tutto il più ampio portato di un orientamento di pensiero del tutto alieno da suggestioni simbolistiche e fermamente ancorato alla robustezza segnica.

Di fondamentale rilievo appare una sua opera più tarda, Senza titolo, del 2012 in cui l’artista dispone una scansione di piani volumetricamente sfalsati, articolandone l’impostazione costruttiva e modulandone il rapporto interno secondo un abbrivio linearistico cui fa premio di pregnanza vitale un ancoraggio materico che si manifesta nel ricorso alla semplicità strutturale di alcuni materiali d’impiego. 

In questo stesso torno di tempo, che è quello che sarà segnato dall’esordio del Gruppo artistico del Movimento di Astractura intorno allo scadere del primo decennio del 2000, Rosario Pinto procede anche alla individuazione delle prime personalità di artisti cui rivolgere il suggerimento di prendere parte alla missione di una azione di rinnovamento profondo della concezione e della pratica astrattista.

Egli rivolge la sua chiamata, in modo specifico, ad alcune personalità di cui ha già conoscenza e di cui può essere possibile aver prova di una coscienza astrattiva come quella che si manifesta, ad esempio, nell’opera di Romualdo Schiano, di cui si rendeva possibile apprezzare le qualità di ordine quasi premonitivamente astracturista che potevano già scorgersi in alcuni suoi lavori degli anni ’70 ed ’80, realizzati con  alcune opere di piccolo formato su carta caratterizzate da un susseguirsi di segmentazioni lineari che sembravano echeggiare – evidentemente con autonomia di indirizzo – delle compitazioni – di analogo orientamento – di cui aveva fornito prova, nel corso degli anni ’50, un autore come Andrea Bizanzio, prossimo, anche se non intrinseco, alla temperie ‘concretista’ partenopea interpretata dagli autori del MAC napoletano.

A tali opere ‘datate’ in cui si rendeva riconoscibile – per quanto inconsapevolmente sviluppata – una sorta di visione astracturista, Schiano avrebbe fatto seguire (almeno durante l’arco di tempo della sua militanza all’interno del Movimento di Astractura) altre opere che significativamente hanno contribuito ad ampliare la sua disponibilità a sviluppare – questa volta con consapevolezza del fare – ulteriori opportunità di proposta creativa che non possono non essere giudicate propriamente convincenti.

Diversa la posizione di Domenico Fatigati, che porta all’interno di Astractura tutto il carico di una sua personale esperienza creativa, marcatamente astrattiva, e che si produce nella proposta di una orditura di netta scansione di ispirazione compositiva generalmente ortogonalista, all’interno della quale egli sviluppa un convincente processo ordinamentale che si manifesta di vibratile ‘modularità’ tissulare.

Tale processualità creativa, molto fertile e di ampia capacità immaginativa, consente al nostro artista di dare corpo ad una formulazione produttiva di notevole estensione che si propone con ricchezza di articolazione di modelli esecutivi, ove il ricorso ad una modellazione plasticamente rilevante, costruita, cioè, con addensamenti ordinati di sporgenze volumetriche, va a giovarsi anche di giochi d’ombre che si rivelano particolarmente intriganti.

Ad una prospettiva di forte determinazione d’ancoraggio ad una sensibilità di tipo ‘modulare’ s’ispira anche la pratica creativa di Lorenzo Bocca, artista di Crema, che propone una ricerca profondamente addensata sull’intendimento produttivo di una sintesi espressiva che modella i propri assetti secondo una logica che ripropone costantemente il proprio ‘canone’ ispirativo, con insistita coerenza formulativa che ha il potere di conferire alle produzioni del Nostro una riconoscibilità obiettiva che consente non solo di ritrovare l’impressa dell’autore, ma, di più, di poterne seguire il dispiegamento nei vari contesti d’intervento (dalla grafica, alla pittura, alla decorazione parietale) che avviene secondo canoni d’indirizzo che dimostrano come sia possibile mantenere ininterrotta ed incalzante la costanza identitaria.

La pratica creativa di Lauro Lessio, artista piemontese, confluito in Astractura sostanzialmente  anch’egli già dalla prima fase della costituzione del suo gruppo – che nasce dopo la formulazione delle ragioni di base dell’impianto teoretico elaborato da chi scrive – manifesta, dirimente, una sensibilità ‘costruttiva’ e latamente ‘concretista’ in alcuni tratti, che va a scegliere la consistenza organica delle forme come terreno d’impegno propositivo della sua pratica creativa.

Non a caso, nella definizione del suo processo produttivo, il nostro artista predilige la osservanza di una attenzione marcata alla architettura; ed egli ne sa far emergere la matrice sostanzialmente ‘astrattista’ del suo statuto di disciplina creativa; quella matrice astrattista che rende da sempre l’architettura piuttosto che emula della natura, una prima manifestazione di quella trascrizione del pensiero in oggetto che distinguerà, poi, tutta la pratica ‘concretista’, a far data dalle intuizioni geniali e premonitive di van Doesburg nel corso degli anni ’20.

Una matrice d’impianto originario più decisamente materico è ciò che distingue il pregresso inconsapevolmente e premonitivamente astracturista di altri artisti, come Carlo Palermo, ad esempio e come lo stesso Michele Marzo, dovendo, comunque, doverosamente suggerirsi che nelle loro delibazioni creative, comunque – anche in quelle di più addensato ispessimento materico – l’stanza ordinamentale geometrica non ha mai mancato di affacciarsi come esigenza intrinsecamente regolativa, giustificando, peraltro, l’iscrivibilità delle loro personalità anche all’interno di quel contesto produttivo ‘astratto-informale’, che trova le sue scaturigini almeno nella stagione prebellica dei ‘Jeunes Peintres de la Tradition Française’, al cui abbrivio esemplaristico specifico, tuttavia, non intendiamo acriticamente aggiogare le personalità predette di Marzo e di Palermo.

E mentre Michele Marzo mostrerà come possa rimanere a lungo producente nella sua opera una venatura materica – che si affaccerà, peraltro ed in misura più insistita, in Astractura anche con l’ingresso nel Movimento, più tardi, di Fabio Massimo Caruso e di Gianfranco Papa di area romana – la sensibilità creativa di Carlo Palermo prenderà ad assumere un orientamento sempre più profondamente avvertito delle istanze di una processualità rigorosamente geometrica e capace di volgersi a formulare determinazioni creative di altissima sensibilità astrattiva, ove l’intreccio di piani e di volumi si propone come opportunità rivelativa di una condizione spazio-temporale di convincente rispondenza alle istanze primarie cronotopiche e cinestetiche proprie di Astractura.

Non sarà sbagliato osservare come alla sensibilità di Carlo Palermo, purtroppo scomparso, si debba riconoscere anche una vitalità particolarmente generosa sul piano della contribuzione al dibattito interno di Astractura, con il suggerimento da lui molto spesso avanzato di profilature di pensiero che hanno arricchito certamente la consapevolezza d’appartenenza astracturista anche degli altri membri del Gruppo.

 L’ingresso di numerose personalità di artisti di provenienza extraitaliana – in principio, di Helena Dombrovka e di Serhiy Popov di origine ucraina, poi, di Ellen Roβ e di Nina Pops, entrambe tedesche, e di Ulla Pedersen, danese – non solo giova ad arricchire  la proiezione internazionale di Astractura, ma contribuisce a produrre una fattiva contribuzione di crescita del Gruppo sia in direzione più propriamente ‘concettuale’, come avviene nel caso della Dombrovska e di Popov, sia nella direzione di carattere latamente ‘costruttivista’ come chiaramente additano le performances creative della Roβ, della Pops e della Pedersen.

Di particolare interesse rileviamo essere il linearismo prezioso della Dombrovska, le spaziature di netto sapore concettuale di Popov, la dialettica cerchio-quadrato della Roβ, lo sbalzo disposizionale delle campiture della Pops, lo straniamento apparentemente frattale della Pedersen.

Osserviamo ancora che il gradiente che definiamo ‘costruttivista’ – utilizzando questo termine con tutta la cautela necessaria che impone di sottolineare la distanza logica e fattuale dalle esperienze primonovecentesche di tale abbrivio ‘astrattista’ – si arricchisce dei  contributi creativi che provengono dalle personalità di Lucia Di Miceli e di Carmen Novaco che entrano a far parte del Gruppo del Movimento di Astractura, portando con sé tutto il carico prezioso di esperienze pregresse significativamente vissute all’insegna di una pratica astrattista, all’interno della quale – anche nel caso delle loro prestazioni – abbiamo inteso riconoscere una componente di inconsapevolezza ‘astracturista’ ‘già’ vissuta e praticata in modo del tutto preterintenzionale, ma, non per questo, meno significativamente seduttivo e convincente.

Il caso, in ispecie, di Carmen Novaco ci porta a sottolineare qualche altro aspetto importante delle dinamiche evolutive del Gruppo di Astractura, al cui interno confluiscono alcune personalità – Carmen Novaco è stata la prima, poi anche Saverio Cecere, Diego Alexandre Asi, Arturo Millan, Yessica Zambrano – che trovano nel proprio pregresso storico, di volta in volta, anche una più marcata adesione o solo una prossimità tangenziale (ma tutto ciò poco importa) con le specifiche prammatiche ‘madiste’.

A tal proposito ci piace sottolineare come il rapporto di Astractura con il movimento ‘cugino’ fondato da Carmelo Arden Quin si configuri nell’ordine di un apprezzato e condiviso convincimento del dover volgersi sempre ed incondizionatamente l’attività creativa astrattista – ed Astractura si impegna a darne testimonianza ed esempio – nella direzione di un rifiuto radicale delle prospettive ‘simbolistiche’ e di una promozione di una sensibilità geometrica aliena dal condizionamento delle ‘simmetrie’.

La condivisione di sensibilità artistiche di ordine ‘astrattista’ tra Rosario Pinto e Saverio Cecere, figura che, certamente, non ha avuto parte di poco rilievo nelle logiche ‘madiste’, è stato un motivo di sicuro vantaggio per la promozione delle prospettive astracturiste, della cui proposta di additamento cinestetico, in particolar modo, Saverio Cecere ha saputo far tesoro, sia rendendosene intelligente interprete a livello creativo (se ne consideri, ad esempio, la sua opera di Almagesto – 2016) sia  provvedendo ad esportarne il portato alle latitudini sudamericane durante il suo protratto soggiorno di alcuni anni in America Latina e, segnatamente, in Venezuela.

Proprio da tutto ciò, d’altronde, ha ricevuto impulso l’ampliamento ulteriore della portata internazionale della penetrazione sudamericana del pensiero astracturista, grazie al contributo di personalità come Diego Alexandre Asi e di Arturo Millan, che hanno contribuito ad estendere il raggio d’azione astracturista, consentendo al Movimento ulteriore incrementazione della base produttiva e del contributo di esperienze e di idee, cui fornisce altro e non trascurabile apporto l’intervento della personalità di Yessica Zambrano di Madrid che, comunque, a questa temperie appena descritta può ragionevolmente ricondursi, con l’avvertenza, nel suo caso, che la sua posizione creativa va ad iscriversi nella regione tormentata e complessa della liminarità che distingue l’orizzonte ‘cinestetico’ dalla pratica derivativa ‘cinetica’.

Non basta, giacché un’altra personalità di artista, in questo caso greca, Kleopatra Moursela, giunge, in tempi più recenti, a rafforzare la consistenza di quel contributo creativo che definiamo – con evidente approssimazione – costruttivista, affiancandosi – con la netta scansione quasi modulare delle sue campiture ‘tonalmente’ accordate – non solo agli artisti già citati in tale prospettiva, ma anche ad altri, di cui sarà bene dare subito notazione, come Angelo Bellani e come lo stesso Francesco Gallo, che, nella sua produzione più recente, si propone in incrementazione ed affinamento della sua sensibilità ‘astracturista’, sempre più versata a tradurre l’empito ‘costruttivista’ in una declinazione raffinata di prezioso e ratremato linearismo.

Di Angelo Bellani, in particolare, preme poi qui sottolineare la prestanza logico-matematica che presiede la sua compitazione creativa presieduta da un progetto molto attento, ad esempio, all’osservanza delle proporzioni ‘auree’ in uno sforzo di rendere la complessità progettuale un piano ragionamento di proposta, in immagini, di una prospettiva di carattere filosofico.

Chiameremo in causa anche la produzione di Antonio Minervini, che, almeno per il periodo della sua permanenza all’interno di Astractura, ha fornito prova di sensibilità linearistica apprezzabile soprattutto nella declinazione di profilature filiformi; e ci piace ricondurre a tale abbrivio ispirativo anche le compitazioni di netta caratura    informatica cui sa dar corpo Maurizio Bonolis col suo processo di affermazione di una ricerca che dà sviluppo ad un universo segnico che riteniamo particolarmente rilevante per il saper fare dell’equilibrio rigoroso e compunto dei suoi telai compositivi, tutt’altro che l’ormeggio di una vocazione alla staticità simmetrica, il punto di slancio, piuttosto, di una liberazione energetica della carica propulsiva dell’addensamento linearistico-cromatico.

E su tale lunghezza d’onda sembrerebbe di poter dire con ragionevolezza d’intendimento valutativo che va a porsi anche la ricerca specifica di Salvatore Starace, altro artista che appartiene alla generazione ‘di mezzo’ degli artisti di Astractura, e che, nei lunghi anni di militanza nel Gruppo del Movimento è venuto impreziosendo sempre maggiormente il proprio profilo identitario che ora si rivela di spiccata ed adamantina essenzialità, in qualche modo rapportabile, per rimanere, comunque, all’interno del Movimento, a quel carattere ‘modulare’ di cui abbiamo additato essere caratterizzate le compitazioni creative di Lorenzo Bocca.

E, se un abbrivio genericamente definibile nei termini di una sorta di ‘sensibilità lirico-geometrica’ abbiamo potuto riconoscere alle radici primordiali dell’opera di Gallo, una non meno pregnante peculiarità lirica vorremmo segnalare anche nelle radici dell’opera di Rosario Buccione, della quale intenderemo segnalare una non indifferente preziosità materica che si rivela distintiva di quelle preferenza di materiali d’impiego – come il pigmento dell’acquerello, ad esempio – che il Nostro sa adoperare con convincente solerzia.

C’è infine da dar conto di una opportunità creativa di stampo vocazionalmente ‘concettuale’ che è quella cui dischiude l’orizzonte produttivo la pratica creativa di Salvatore Giunta e di Bruno D’Angelo, dovendo noi qui doverosamente additare come tra i due corra, comunque, lo scarto dell’impiego, da parte del primo, di tutti gli strumenti ‘tradizionali’ della ‘bottega’ d’artista – peraltro adoperati con sapienza d’uso semplicemente straordinaria ed inarrivabile – e, da parte del secondo – già forte di una valida esperienza informale-digitale – delle più ardite tecniche informatiche volte a fare dello strumento elettronico un impiego particolarmente ubbidiente alle sollecitazioni prescrittive della sensibilità dell’artista.

Con due profilature d’intervento pur tanto distanti, l’uno e l’altro artista – il primo romano, il secondo napoletano – provvedono ad animare una istanza creativa di netta profilatura cinestetica che interpreta con particolare pregnanza il dettato proprio degli orientamenti astracturisti, andando a mettere in evidenza le opportunità espressive di una dinamica creativa in cui l’oggetto prodotto dall’artista effettivamente riesce a conquistare una propria autonomia propositiva.

Di non minore interesse si profila, inoltre, l’opportunità di scorgere ulteriori e convincenti punti di tangenza tra queste due esperienze creative che si segnalano per una sensibilità che abbiamo anche definito, talvolta, di ordine stocastico e che configurano i propri pregressi di provenienza accreditando, a maggior ragione, la loro ‘svolta’ astracturista come quella di un approdo logico e conseguenziale per dei profili di ricerca che avevano nelle proprie sensibilità propositiva una disposizione alla considerazione di prospettiva di ordinamento dispositivo dei telai compositivi costruiti secondo una ‘ratio’ che avesse anche conto che il fattore della preterintenzionalità non costituisce affatto motivo ostativo alla organicità di un impianto ‘geometrico’, ma anzi, la controprova tangibile di una sua comprensibilità nell’ordine di un orientamento progressivo rispetto alla rigidità degli schematismi di provenienza euclidea.

 

Astractura si apre alle più articolate esperienze produttive, ed individua all’interno della delibazione creativa – ed in premio delle coordinate cronotopiche e cinestetiche – l’opportunità di sollecitare ulteriori canali sensoriali, in virtù di un utilizzo anche del suono, ad esempio, come componente integrata della fruizione visiva. Importanti, in tal senso, alcune ricerche di Grazia Santarpia che individua, in ispecie attraverso il suono che sono in grado di produrre le sue creazioni, l’opportunità di guidare le sue sculture a sviluppare la pienezza del proprio intendimento estetico (Pannello Sonoro).

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