Gli anni di Astractura e la sua coscienza storica

E qui può continuare la narrazione dello sviluppo storico del Movimento di Astractura e del Gruppo dei suoi artisti, documentandone – sia pur sommariamente – il corso che ha seguito nei vari anni delle sue vicende.

L’origine di Astractura, in pratica, è nella notte dei tempi, nell’antichissima e primordiale esigenza dei nostri più antichi progenitori di fornire di senso logico le immagini che andavano creando, nelle caverne o altrove, scoprendo, ad esempio, la vitalità significativa della linea.

A partire di lì, nel corso del tempo, si è sempre affermata un’istanza astrattiva, che ha impegnato artisti e pensatori lungo un processo di ricerca logico-matematico-creativa per lasciare affermare una ‘visione del mondo’ che potesse dar corpo a qualcosa di più articolato sia rispetto ad una prospettiva ‘impressionistica’, derivante dall’impatto delle cose sulla soggettività dell’artista, sia rispetto ad una prospettiva ‘espressionistica’, che si propone come esternazione comunicativa che promana dall’interno stesso della personalità soggettiva.

 

Le posizioni astracturiste, che indicano le prospettive di Linearismo, Cronotopia e Cinestetismo, sviluppate in numerosi volumi, articoli e testimonianze audiovisive, hanno un solido ancoraggio ‘analitico’ ed anche perciò si rivelano non essere additamenti prescrittivi, quanto, piuttosto, modulazioni metodologiche di orientamento produttivo.

Ed a conferma di tutto ciò, considerando, quindi le idee fondanti di Astractura piuttosto come un archetipo che non come un precetto, appare utile additare che moltissimi artisti, nel corso dei secoli – e tuttora – hanno sviluppato e sviluppano spesso  ‘inconsapevolemte’ una pratica che, a veder bene, può essere definita  propriamente astracturista, una pratica che non disdegna, evidentemente, di aver conto – ed a titolo di fertilità propositiva – di quelle opportunità significative che nascono ‘anche’ da una disposizione che orienta ‘preterintenzionalmente’ il suo fare.

 

Alla luce di tutto ciò può essere chiaro, quindi, per quali ragioni possa rendersi possibile sostenere che Astractura non è uno ‘stile’, ma una ‘condizione creativa’, così da potersi facilmente argomentare perché possa avvenire che ‘artista astracturista’ si venga ‘riconosciuto’ e non lo ‘si diventi’, né lo ‘si impari’. E discende da ciò, di conseguenza, che possono esistere – certamente esistono – moltissimi artisti astracturisti che, di fatto, non hanno coscienza di esserlo.

 

Se non esiste una riconoscibilità spiccatamente stilistica – ci si potrebbe, allora, chiedere – in che cosa consiste la identità astracturista?

L’identità astracturista – questa è la risposta alla domanda appena proposta – consiste nell’autonomia significazionale dell’opera e non nell’artista. L’identità astracturista riposa nella condizione ‘di flusso’ che si attiva nel momento stesso in cui l’opera creata dall’artista, sfuggendo al suo controllo ed al suo dominio, assume una propria identità che nasce non dalla presunzione dell’artista di aver formato una creatura nella quale ha trasferito il proprio pensiero e la propria immagine psicologica e morale, ma dalla consapevolezza dell’artista, piuttosto, di aver dato corpo ad una individualità agente – l’opera d’arte – che è capace di aver vita propria ed è capace, altresì, di assumere, di volta in volta, le peculiarità identitarie che si costituiscono nel processo della sua vita ‘storica’, arricchendosi, così, evidentemente, di tutti i contributi che provengono dall’atto fruitivo e che provvedono ad ampliare la sfera significazionale molto più dilatatamente di quanto non sia avvenuto al momento della sola prestazione creativa fornita dall’artista.

In altre parole, il ruolo del fruitore ed il ruolo del tempo, come quello del contesto ambientale si rivelano decisivi per dotare l’opera d’arte di un suo senso e di una sua capacità comunicativa.

 

Ovviamente, non vanno trascurate le sensibilità soggettive – oltre che dei fruitori – anche degli artisti: e sulla scorta di ciò è possibile individuare delle linee d’intesa che possano dar ragione di una possibilità di storicizzazione dei processi creativi, che segnano – come dire – la processualità che segue l’opera nel suo prodursi e presentarsi nel suo percorso dalla bottega d’artista al mondo.

Può essere tutto più semplice se consideriamo l’esempio di Geppetto, il mitico creatore del burattino Pinocchio. Il burattino è creato secondo certe regole e secondo un determinato indirizzo di pensiero e secondo alcuni ben precisi intendimenti ‘di mestiere’ (ciò che in arte potremmo chiamare anche intendimenti stilistici), poi, successivamente, il burattino prende vita autonoma e si rivolge a Geppetto stesso con autonomia propositiva – addirittura irritante, se si vuole – ma indiscutibilmente rivendicativa della propria autonomia. Quella stessa autonomia che Petrarca, ad esempio, già riconosceva ai suoi versi, quando raccomandava al suo componimento poetico di andare liberamente tra la gente a dire le proprie ragioni, colloquiando con quanti potrà incontrare nel suo cammino.

Così dev’essere per l’opera d’arte e per quella astracturista in particolare che, di tutto ciò, è programmaticamente avvertita.

 

Né tutto ciò pregiudica, evidentemente, che possa prodursi una analisi ed una considerazione storiografica dell’attività creativa dei singoli artisti, di quelli, in particolare, che già riconosciuti come astracturisti, hanno ritenuto di ritrovare in se stessi le ragioni di un’appartenenza che è transitata dalla latenza alla coscienza, andando quindi ad estrinsecarsi nella creazione di opere di cui sarà possibile affermare la consapevolezza ‘produttiva’ e non più la sola mera condizione di occasionalità ‘creativa’, che già aveva in sé, comunque e spesso, il germe e la prerogativa di una sensibilità intrinsecamente – ed occorrerà aggiungere – anche fertilmente preterintenzionale.

 

Non v’è dubbio che si affaccia sulla scena, in tal modo, ancora qualche altra cosa: la consistenza oggettiva della prestanza astracturista come epifania di un dettato contenutistico di straordinario spessore: un dettato contenutistico in cui si addensano esperienze e sensibilità umane che assumono le forme di una visione ordinamentale astratto-geometrica costruita secondo un linearismo che risponde non solo all’istanza curvo-rettilinea, ma anche ad una concezione spazialmente e temporalmente più dilatata. E questa acquista la forma, spesso, di un ordito che appare inestricabile secondo i canoni ed i riferimenti che possediamo ricevuti dagli impianti codificati delle varie geometrie di cui possiamo storicamente servirci.

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